La maggior parte degli articoli pubblicati sul blog prendono spunto da situazioni reali. Situazioni in cui mi imbatto durante il mio lavoro e che decido di approfondire, ampliare o semplicemente raccontare. Partiamo dal presupposto che questo post si riferisce alle realtà tipo in Italia, ovvero professionisti, artigiani e PMI.
Anche in questo caso la riflessione è nata da una richiesta che mi è stata fatta da un professionista, durante il periodo di lockdown: agganciare le sue pagine social al sito dello studio. L’idea di base poteva anche essere valida, ma è bene fare una serie di considerazioni iniziali prima di avventurarsi in questa partita potenzialmente disastrosa.
Ragionare come un brand
Una delle cose fondamentali che ho imparato in anni di letture, studio ed esperienza sul campo è che la presenza online deve essere gestita come un brand a tutti gli effetti. Non contano la dimensione della attività in questione, il budget o i gusti personali; è fondamentale costruire una presenza strutturata e soprattutto coerente.
Ma da dove nasce il brand?
Si comincia da dettagli molto semplici e spesso totalmente trascurati, come avere un proprio logo. Nella mia esperienza professionale (ma anche nel contesto del motociclismo, in cui mi muovo parallelamente) incontro continuamente decine di “brand” che non si sono mai posti il problema di avere un logo. Il logo è un elemento che a tanti professionisti e imprese sembra un vezzo trascurabile, ma le grandi aziende globali ci hanno insegnato che l’intera identità del marchio può essere veicolata da un elemento stilistico a volte estremamente semplice, come una mela morsicata o una M gialla.
Il logo può essere usato come base per tutto il resto, dalla palette dei colori del sito e dei social, fino alla scelta dei font e dello stile grafico di biglietti da visita e carta intestata.
Non sto a specificare che la realizzazione dello “stile” aziendale vada affidata a persone competenti e non fatta in modo artigianale ed arrangiato, ottenendo l’effetto opposto: trasmettere un senso di pressapochismo.
Evolversi con coerenza
Il passaggio successivo alla creazione dell’identità “estetica” del marchio è fondamentale muoversi con coerenza. Qui le sfumature sono innumerevoli, quindi mi limiterò ad alcuni esempi pratici per trasmettere il concetto.
Prima di tutto è fondamentale fare una valutazione preventiva delle risorse a disposizione dell’identità che si vuole creare. Ad oggi i mezzi a disposizione sono sicuramente un sito Web e i social network e non nascondo che io sono decisamente a favore del primo. Non perché parte del mio lavoro sia realizzarli, ma perché la natura intrinsecamente volatile e transitoria dei social network poco si addice ad una presenza solida su Internet.
L’errore più grosso che vedo fare è sottovalutare la quantità di risorse (non tanto in termini economici, ma di tempo e contenuto) necessarie per mandare avanti un progetto Web ben fatto. Insomma, tutti vogliono un blog che raccolga migliaia di clic, ma nessuno vuole investire tempo nel creare post con cui popolarlo.
Sulla presenza a livello di sito, vanno ad innestarsi i social network: ma è bene analizzare le motivazioni di questa scelta. Ampliare il bacino di utenza a cui ci si rivolge è indubbiamente una motivazione valida, anche utilizzare i social per segmentare il proprio pubblico e raggiungere diverse categorie di potenziali clienti è una strategia valida. Diffondere i social come vettore di comunicazione aziendale invece, no.
Se siete un artigiano, un libero professionista o una piccola impresa avere persone che vi contattano sulla chat di Facebook porterà ad un solo ed unico risultato: una marea di messaggi che nessuno leggerà mai. E non apriamo il discorso Instagram, Snapchat e compagnia. In sostanza finireste per offrire un pessimo servizio, senza nemmeno accorgervi.
Inoltre, ogni canale che si aggiunge al vostro piano di comunicazione, richiede risorse aggiuntive. Risorse che devono essere correttamente utilizzate, perché ogni social ha logiche, utenze e meccanismi propri che è necessario conoscere per non trovarsi in mano un boomerang.
Evitiamo quindi (e lo dico perché l’ho visto succedere) di fare errori macroscopici come agganciare i propri social personali al sito aziendale, pubblicare materiale assolutamente non pertinente solo perché ritenuto “carino da vedere”, mettersi a creare contenuti di testa propria senza alcun piano editoriale etc.
Nel complesso è quindi necessario trovare una linea di congiunzione tra gli obiettivi prefissati, il budget a disposizione ed i propri limiti oggettivi. Quanto detto fin qui è possibile solo affidandosi a professionisti in grado di guidare l’azienda attraverso un corretto percorso di crescita e narrazione. Perché l’identità che si va a diffondere con un lavoro del genere plasmerà irrimediabilmente l’immagine dell’azienda stessa, potenzialmente per lungo tempo.
Il contenuto
Lascio per ultimo (anche perché lo davo per scontato) quello che, in realtà, è l’elemento fondante della propria identità come brand e come azienda, ovvero il contenuto.
Possiamo ingaggiare i migliori Webmaster del mercato, spendere una fortuna nella grafica del sito e investire soldi in campagne di advertising social, ma senza i contenuti non servirà comunque a nulla.
L’utilizzo di slogan e una narrazione gonfiata possono funzionare forse sul breve periodo, ma presto si tramuteranno in un’arma controproducente, che inevitabilmente farà collassare l’intero progetto. Per questo uno dei consigli che mi trovo a dare con una certa frequenza è di non voler realizzare grandi cose a tutti i costi, ma essere consapevoli dei propri limiti. Non parlo di limiti tecnici, una azienda può anche decidere di investire un buon budget nel proprio sito, ma se oggettivamente non si ha nulla da raccontare è molto meglio un sito vetrina statico ben fatto, rispetto ad un sito predisposto per centinaia di contenuti, ma che nessuno popolerà mai.
In chiusura porto due esempi reali e molto esplicativi su cui ho lavorato: un sito di agenzia viaggi e uno di una officina per automobili. Il primo progetto è stato realizzato in un’ottica di crescita futura e predisposto per la pubblicazione costante di grandi quantità di materiale, il secondo è stato volutamente pensato come vetrina semi-statica nel tempo, ma ben realizzata e con poche informazioni ma facili da trovare.
A conti fatti, il rapporto tra il volume di traffico raccolto e l’impegno necessario per il mantenimento è nettamente a favore del secondo. Al punto che, nel caso dell’officina, non è necessaria praticamente alcuna attività di aggiornamento dei contenuti a fronte di centinaia di visualizzazioni mensili. Il primo, invece, è stato rapidamente ridimensionato proprio per aver sottovalutato l’impatto in termini di risorse necessarie per ottenere una buona resa.
Riportando una considerazione che spesso fa una persona che ritengo un mio mentore: